Guardiamoci un film, leggiamo un libro: The promise

Un film un po’ forte ma decisamente veritiero è “The promise” che parla del genocidio perpetrato dalla Turchia ai danni del popolo cristiano degli armeni che abitava nella terra dei loro padri. Un film intenso che è già disponibile da tempo sulla piattaforma di Sky. Vale la pena di vederlo non come semplice (seppur fatto bene)  racconto storico, intrecciato per esigenze cinematografiche con le relazioni fra i protagonisti, ma avendo davanti cosa può fare il male che c’è nel cuore dell’uomo. In un tempo in cui si lotta contro un male che attenta alla salute questo film ci ricorda anche il male che viene dal cuore, così come dal cuore viene il bene che nel film viene manifestato da tanti personaggi. Legato al tema del genocidio armeno ci sono i libriLa masseria delle allodole” di Antonia Arslan (italiana di origine armena) oppure più romanzato ma sempre realistico “I quaranta giorni del Mussa Dagh” di Franz Werfel, appassionante e coinvolgente.  Qui sotto trovate un articolo di Rino Cammilleri sul film. Buona lettura e buona visione. don Luca

 

 

l genocidio armeno è stato narrato non molte volte dal cinema. Si ricordano solo La masseria delle allodole (2007) dei fratelli Taviani, Il padre (2014) di Fatih Akin, il tedesco Aghet del 2010 (ma è un documentario, peraltro mai distribuito in Italia) e Ararat (2002) di Atom Egoyan. Con ben altri mezzi si è mossa Hollywood nel 2016 producendo The Promise (che in italiano ha conservato il titolo originale, La promessa). Diretto da Terry George, schiera un cast di tutto rispetto: Christian Bale, Oscar Isaac, James Cromwell, Jean Reno. Alla voce corrispondente su Wikipedia troviamo che «la pellicola ha attirato su di sé operazioni di trolling e di voti negativi, forse da parte di gruppi nazionalisti turchi. Hollywood Reporter ha notato che la pagina del film sul sito Internet Movie Database è stata inondata da migliaia di voti a una stella, il voto minimo, già a partire dalla presentazione avvenuta al Toronto International Film Festival, così da abbassare il rating del film».
Gli stessi mezzucci denigratori erano stati usati in Germania per Aghet, perché colà gli immigrati turchi sono numerosi e numerosi sono, tra questi, i sostenitori di Erdogan, che al solo sentir parlare di «genocidio armeno» va su tutte le furie. Com’è noto, il governo turco nega questa sua macchia storica, quantunque avvenuta cent’anni fa. C’è chi pensa che un riconoscimento ufficiale aprirebbe una serie pressoché infinita di vertenze risarcitorie, dal momento che la comunità armena al tempo del Metz Yeghern (il «Grande Male», così gli armeni chiamano il loro genocidio) era la più ricca dell’Impero ottomano. E la Turchia, malgrado le sue attuali manie di grandezza, è in piena crisi economica.
Il film narra di un giovane armeno che nel 1914 sogna di studiare all’università a Istanbul ma non ne ha i mezzi. Si fidanza allora con una ragazza ricca e ne usa la dote per mantenersi agli studi. Nella capitale fa amicizia con un giornalista americano e la di lui compagna, della quale finisce per innamorarsi. Ma ha una promessa (da qui il titolo) da mantenere, così torna a casa e sposa la fidanzata. Quando questa rimane incinta, però, comincia il genocidio. Lui viene catturato dai soldati turchi e adibito ai lavori forzati in un campo da cui si esce solo morti: chi cade, o non ce la fa, viene ucciso sul posto. Durante un tentativo, abortito, di rivolta, riesce a fuggire. Ma al suo paese trova la sua famiglia sterminata. La moglie gravida è stata addirittura sventrata.
Si unisce allora a un gruppo di profughi che cerca di difendersi a mano armata e di raggiungere il monte Mussa Dagh per trincerarvisi e vendere cara la pelle. L’episodio è vero e nel 1929 lo scrittore Franz Werfel gli dedicò il suo capolavoro, I quaranta giorni del Mussa Dagh. Intanto il giornalista americano (Christian Bale) è stato arrestato perché nella sua corrispondenza ha rivelato al pubblico americano quel che sta succedendo nell’Impero ottomano. Per farlo liberare interviene l’ambasciatore Morgenthau (James Cromwell), il quale minaccia il ministro dell’interno turco di un intervento americano. Il giornalista viene allora deportato a Malta, ma qui trova un ammiraglio francese (Jean Reno) e lo convince a soccorrere gli armeni assediati sul Mussa Dagh. Anche questo episodio è storicamente vero: fu una fregata francese a trarre in salvo gli armeni del Monte di Mosè (Mussa Dagh).
Il film ha ritmi hollywoodiani e si segue fino all’ultimo col fiato sospeso. Anche se il finale è amaro. Fu il primo genocidio del Novecento (il primo in assoluto fu quello commesso nel 1793-1794 dai rivoluzionari francesi nella cattolica Vandea), del quale quasi subito si perse il ricordo. Hitler lo citava per far intendere che la «soluzione finale» per gli ebrei era praticabile: in poco tempo nessuno se ne sarebbe ricordato. È vero, la fiamma del ricordo vive solo se qualcuno la tiene accesa. O la riaccende. Anche dopo un secolo.

Rino Cammilleri