La Gloria di Dio, uno spettacolo da ammirare a testa in su

La creazione tutta è un meraviglioso inno all’incommensurabile grandezza divina, ma il Cielo, che Dio nella Bibbia chiama “firmamento” (Gen 1,8), lo è per antonomasia! Soprattutto se trapuntato di stelle. Cupole e volte affrescate, mosaici e dipinti ne sono, dall’alto medioevo in poi, splendide testimonianze. Come ci mostrano i cieli stellati della Cappella degli Scrovegni e del Mausoleo di Galla Placidia.

(Giotto, Cappella degli Scrovegni – Padova)

I cieli narrano la gloria di Dio,
l’opera delle sue mani annuncia il firmamento. Dal Salmo 18

La creazione tutta è un meraviglioso inno all’incommensurabile grandezza divina, ma il Cielo, che Dio nella Bibbia chiama “firmamento” (Gen 1,8), lo è per antonomasia! Soprattutto se trapuntato di stelle. Cupole e volte affrescate, mosaici e dipinti ne sono, dall’alto medioevo in poi, splendide testimonianze.

Procediamo con ordine e varchiamo la soglia del Mausoleo di Galla Placidia a Ravenna, risalente al V secolo e un tempo annesso alla Chiesa di Santa Croce. Ci si ritrova immersi in una notte stellata dominata dal blu cupo della calotta centrale, su cui spicca l’oro delle tessere che disegnano le stelle. Qualcuno le ha contate: sono 567, innumerevoli come appaiono in un terso cielo notturno. Disposte in cerchi concentrici, sono di grandezza decrescente man mano che procedono verso l’interno, in modo da creare un movimento vorticoso che trova il suo culmine nella croce, pure dorata, al vertice dell’emisfero architettonico.

I loro raggi sono otto, numero che nella simbologia cristiana ha a che fare con la trasfigurazione, la resurrezione e, dunque, l’eternità. A Ravenna il cielo notturno prosegue, senza soluzione di continuità, nei quattro pennacchi, dove trovano posto gli Esseri alati dell’Apocalisse, l’aquila, il bue, il leone e l’angelo, poi divenuti simboli degli Evangelisti che annunciarono al mondo la buona novella. Il cielo stellato è, qui, la promessa del Paradiso.

A Padova, nella Cappella degli Scrovegni, il firmamento sovrasta la storia della salvezza raccontata da Giotto agli inizi del Milletrecento. Il blu della volta, così luminoso, ottenuto con il fragile pigmento dell’azzurrite, è disseminato di stelle, anche qui a otto punte, tra cui brillano astri ancora più grandi: i cerchi che racchiudono otto profeti, di cui Giovanni Battista è l’unico neotestamentario, e due clipei, di dimensioni maggiori, con il Cristo benedicente e la Vergine, madre  e regina, sul lato verso l’ingresso. E’ Lei la nostra intermediaria presso il Figlio e, dunque, tramite per la redenzione.

La volta di Padova rappresenta l’ottavo giorno, il tempo di Dio.

E sempre di un blu intenso e profondo è il cielo su cui Henri Matisse, sei secoli dopo Giotto, immaginò librarsi il suo Icaro in una delle tavole della raccolta Jazz, il libro d’artista pubblicato nel 1947, realizzato con una tecnica particolare di decoupage detta papiers découpés.

Icaro vola in un infinito popolato da stelle che si fanno a lui compagne di viaggio. Sono di un giallo lucente, quasi esplosivo e ardono come pure arde il punto rosso nel petto dell’uomo: il suo cuore. È lì che risiede il desiderio di Icaro, l’incontenibile sete di totalità, di vita, di eternità che lo lancia in alto fino a toccare le stelle e che lo rende icona di ogni uomo.

È un volo ardito quello che Matisse ritaglia nelle carte colorate e il firmamento qui è testimone della suprema gloria di Dio, che, come diceva Sant’Ireneo, è l’uomo vivente.

 

Articolo di Margherita Del Castillo tratto dal sito www.lanuovabq.it