Alcune tele di Giuseppe Antonio Castelli, ipotesi attributiva su base stilistica

La Storia dell’Arte è ricca di famiglie di artisti, forse una dote geneticamente comune a più consanguinei ne determina il fortunato destino.

Così come spontaneo ne può derivare il confronto tra loro, e l’emulazione del migliore può giovare al progredire di tutti, altrettanto credo sia difficile alle volte distinguere la mano di uno o dell’altro, in opere probabilmente prodotte insieme. Se leggiamo le biografie, capita che anche eminenti studiosi siano in dubbio sulla paternità effettiva e quindi l’attribuzione sia generica; l’esempio più vicino a noi sia quello dei fratelli Fiamminghini, conosciuti perché molto presenti sul nostro territorio.

Questo preambolo è per introdurre il discorso sui Castelli, famiglia di pittori nativi di Musso, dei quali si è già parlato, anche in Hesed.

Carlo Gerolamo (+ 1712, di anni 78) è il più conosciuto. Di lui è già stata pubblicata gran parte della produzione, ma altre tele meritano di essere studiate e, pur considerando – come ho voluto suggerire -, la possibilità di un intervento comune col fratello in opere non attribuite, alcune di esse potrebbero essere di Giuseppe Antonio.

 

Il Registro dei Battesimi della parrocchia di Musso riporta la data di nascita di Giuseppe Antonio il 2 marzo 1643, figlio di Pietro Martire e della moglie Caterina, il quale figura poi nello Stato d’Anime del 1691 insieme a fratelli, cognate, nipoti ed alla moglie milanese Felicita Maggi, ma non è più presente in quello successivo del 1696 e non compare neppure nel Registro dei Morti.

Dai pagamenti della parrocchiale della SS. Annunziata di Dosso del Liro sappiamo che nel 1682 fu autore di una Flagellazione di Cristo e che gli vennero date quale caparra L. 280, mentre la somma di 100 scudi per la tela era stata legata dal notaio Giovanni Pietro Riella nel 1680.

L’anno successivo gli venne commissionata una Adorazione dei Magi, offerta da Andrea Bassi “per sua devozione”, depositando per il quadro la somma di L. 1302.

Nel 1685 la Flagellazione fece ritorno a Musso perché non di gradimento dei committenti e probabilmente furono apportate delle modifiche se negli anni ’30 del secolo scorso entrambi i quadri risultavano ancora presenti nel presbiterio della SS. Annunziata, per essere poi venduti nei decenni successivi col consenso della popolazione e sostituiti coi due affreschi di Torildo Conconi (1909-1988) e del suo – allora allievo – Mario Bogani (1932-2016), tutt’ora esistenti.

A Menaggio, nella chiesa di S. Carlo, la tela raffigurante la Crocefissione coi Santi porta scritto in basso a destra: ”Joseph Antonius Castellus Faciebat”. Già letti come san Pietro, riconoscibile dalle chiavi ai suoi piedi, e sant’Andrea, meno certo per la generica palma che lo accompagna, i due santi stanno inginocchiati ai lati della croce, avvolti da ampi mantelli dalle pieghe a spirale, color giallo sole e rosso scarlatto. Dal fondo buio avanza il corpo bronzeo del Cristo morto, il cui sangue è raccolto da un angioletto parimenti scuro. Sia la soluzione anatomica del Crocefisso che i valori cromatici sono importanti per la lettura e l’ipotesi attributiva di altre tele non firmate.

Nel santuario della Madonna della Pace in frazione Nobiallo di Menaggio, una Educazione della Vergine reca l’iscrizione nel cartiglio:” E’ voto di me Giuseppe Antonio Castelli Pittore per aver riceputo gratie da questa Gloriosa Santa M. Dm.”.

Si tratta di un olio su tela dove sant’Anna è seduta col libro sulle ginocchia e la piccola Maria è attenta al suo insegnamento; dall’alto guardano alcuni angioletti in forma di testine alate. Questa composizione ha colori diluiti, anche il fondo è di un chiarore inusuale al pittore, ma al di là della dedica che lo autentica, il volto della madre col naso affilato è come una firma.

“Joseph Antonius Castellus P.” compare sotto l’immagine di san Luca nella graziosa sacrestia della chiesa di S. Vittore ad Esino Lario, dalla volta interamente coperta da stucchi che incorniciano le effigi dei Quattro Evangelisti, alcuni Angioletti, piccoli medaglioni monocromi (Virtù?) e un trompe l’oeil in cui, aprendo una finestra a vetri, un chierico fa cenno col dito sulle labbra di fare silenzio. L’incanto dei putti in stucco ha probabilmente fatto presa sul pittore perché paiono essere il modello di quelli dipinti.

Nella chiesa parrocchiale di S. Lorenzo a Menaggio, lascia una bella Deposizione, copia da Van Dick, mentre le due grandi tele raffiguranti altrettanti Miracoli Eucaristici, il Comunicando sacrilego che stramazza di fronte a san Carlo e il Miracolo dell’Ostia insanguinata sotto i colpi dei pugnali protestanti, sono state avvicinate alla sua mano per qualità stilistiche.

Raffronti con queste opere già pubblicate confortano le mie ipotesi per attribuirgli alcune tele, patrimonio sacro della parrocchia di Musso: la Deposizione che si trova in chiesa di S. Biagio, San Gerolamo e Tobiolo e l’Angelo, allocate in casa parrocchiale.

La Deposizione è una raffigurazione in orizzontale, attraversata completamente dal corpo del Cristo morto adagiato su un drappo rosso, le cui carni pallide e asciutte rivelano un importante studio anatomico. Sette persone lo sovrastano e partecipano in vario modo al dolore; la prima figura partendo da sinistra è una donna anziana che si tiene il capo fasciato con entrambe le mani, è la meno appariscente, quasi nascosta nell’angolo. In successione due adulti aitanti, dal naso affilato, il primo dei quali un po’ stempiato, il secondo più giovane con la barba folta che guarda dritto verso di noi. Se è vero – come pare – che i pittori usassero questo modo per lasciare la firma, potrebbe trattarsi dell’autoritratto e del ritratto del fratello maggiore Carlo Gerolamo. Essi ricordano Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo, come detto nel Vangelo.

Seguono tre figure femminili. Anch’esse ritratte a mezzo busto, parrebbero la Maddalena, la Vergine e Maria di Cleofa, nominate nel Vangelo presenti presso la croce. Da ultimo un uomo di mezza età.

Le due donne al centro paiono determinanti per la mia ipotesi attributiva: la figura interpretata come Maddalena è avvicinabile alla giovane dipinta sul lato sinistro del Miracolo dell’Ostia di Menaggio e la Vergine è invece avvicinabile alla sant’Anna dell’Educazione di Nobiallo.

La tela con Tobiolo e l’Angelo ha un fondo scuro da cui emergono timidamente il bambino col suo Custode che lo accompagna perchè le carni bronzee staccano poco. L’opera è avvicinabile per cromatismo alla Crocefissione con Santi di Menaggio e probabilmente sono coeve.

Decisamente di fattura più raffinata è il San Gerolamo della casa parrocchiale. Il Dottore della Chiesa è ricordato nella maniera veneta, coperto solo da un manto purpureo mentre medita; l’ambiente desertico, spoglio e buio, lascia intravvedere un lampo di luce che divide il cielo notturno. L’eremita si appoggia ad un sostegno che regge i suoi scritti ed un teschio; un cappello cardinalizio ricorda la sua nomina. L’anatomia del corpo snello è avvicinabile al Cristo della Deposizione di Menaggio, il cromatismo alle tele già lette.

Riferimenti per Giuseppe Antonio Castelli

  1. Capelli, La Cappella Calvi in Arte Cristiana, n° 874, 2013.
  2. Fazzini, Le chiese e l’Arte, in Piccole storie nella grande storia, 2009.

Rita Fazzini Trinchero

 

dal numero 7 del notiziario “Hesed” della Comunità Pastorale “San Luigi Guanella”