Assolto il Cardinale George Pell

La settimana santa 2020, fra tante notizie tristi, ne porta una buona: l’Alta Corte di Giustizia australiana ha prosciolto il cardinale George Pell da ogni accusa, e ha ordinato che sia rimesso immediatamente in libertà, e che il suo nome venga cancellato dalla lista dei responsabili di abusi sessuali. Pell è già libero, e si trova attualmente in un monastero a Est di Melbourne, Dopo 400 giorni di prigionia, potrà di nuovo celebrare la messa. L’Alta Corte fa così giustizia, infine, di quello che è stato fino adesso, un obbrobrio per un sistema giuridico basato sulle norme più elementari del diritto; una specie di “caccia all’uomo” mirata a trovare un colpevole esemplare da gettare in pasto all’opinione pubblica; una sorta di linciaggio mediatico contro un uomo inviso al mondo liberal, accusato di essere conservatore, e su cui ancora nei giorni scorsi alcune televisioni australiane spargevano menzogne, facendo passare come rivelazioni eclatanti accuse che erano già state lasciate cadere dagli inquirenti perché senza fondamento. E su tutta la vicenda resta pesante il sospetto che la polizia australiana sia stata una dei protagonisti attivi della vicenda, per stornare l’attenzione del pubblico da un caso di corruzione che ne aveva pesantemente offuscato la credibilità

L ‘Alta Corte australiana ha annullato all’unanimità la sua condanna per cinque capi d’accusa di abusi sessuali su minori storici. L’importante decisione, emessa martedì 7 aprile dal giudice capo Susan Kiefel, e pone fine a una battaglia legale durata cinque anni, iniziata quando un uomo sulla trentina si è rivolto alla polizia sostenendo che Pell aveva abusato di lui da bambino a metà degli anni Novanta.

All’epoca, Pell era il tesoriere del Vaticano e il prelato cattolico di più alto rango che sia mai stato pubblicamente accusato di reati sessuali su minori. Pell ha sempre negato strenuamente le accuse, che ha respinto in un’intervista alla polizia del 2016 come “prodotto della fantasia”.

Nella sua sintesi di due pagine della sentenza, l’Alta Corte ha detto che la giuria “avrebbe dovuto nutrire un dubbio sulla colpevolezza del richiedente per ciascuno dei reati per i quali è stato condannato, e ha ordinato che le condanne fossero annullate e che le sentenze di assoluzione fossero inserite al loro posto”.

La sentenza dell’Alta Corte di martedì ribalta la sua condanna per un’accusa di penetrazione sessuale di un ragazzino e per quattro capi d’accusa di aver commesso un atto indecente con un ragazzino. Il nome del cardinale sarà inoltre cancellato dal registro australiano degli autori di reati sessuali su minori.

In una dichiarazione rilasciata dal carcere, Pell ha dichiarato di non nutrire alcuna cattiva volontà nei confronti del suo accusatore.

“Non voglio che la mia assoluzione aggiunga al dolore e all’amarezza che molti provano; c’è certamente abbastanza dolore e amarezza….. Il punto era se avessi commesso questi terribili crimini, e non l’ho fatto”, ha detto nella dichiarazione.

Pell è stato fatto uscire dai cancelli della prigione di Victoria’s Barwon, meno di tre ore dopo la sentenza. Lo si può vedere seduto sul sedile posteriore di un’auto, seguito dagli elicotteri dei notiziari.

Pochissime persone erano presenti nella piccola aula di Brisbane quando è stata emessa la sentenza, in netto contrasto con le precedenti udienze, quando critici e sostenitori hanno formato lunghe code per ottenere un posto in aula o stanze di spillover appositamente allestite per far fronte alla domanda.

Con i confini dello Stato chiusi e le distanze sociali imposte a causa della pandemia di coronavirus, non è stato possibile per molte persone viaggiare verso nord da Melbourne, dove si sono svolti i processi, a Brisbane, a due ore di volo. A un sopravvissuto alle violenze sui bambini, che ha partecipato alla maggior parte delle udienze precedenti, è stato rifiutato l’ingresso all’arrivo all’aeroporto di Brisbane ed è tornato a Melbourne nell’ambito delle misure di controllo della pandemia.

Vi invitiamo a leggere quello che scrivevamo nell’agosto scorso in un articolo intitolato Una vergogna australiana.

E scrivevamo qualche tempo fa su La Nuova Bussola Quotidiana:

Nei prossimi mesi l’Alta Corte australiana esaminerà il ricorso del cardinale George Pell, condannato in primo e secondo grado per presunti abusi, che sarebbero stati commessi in una domenica imprecisata di metà anni Novanta, poco dopo essere stato nominato arcivescovo di Melbourne.

La speranza di molti è che l’Alta Corte renda finalmente giustizia a un uomo che molto probabilmente è stato condannato ingiustamente; e che sicuramente è stato messo al centro di una situazione di linciaggio mediatico e non solo, al colmo di una frenesia anti-cattolica del mondo “progressista” australiano.

È interessante notare, e fa sperare, che negli ultimi mesi diverse voci si sono levate non solo e non tanto in difesa del cardinale, ma anche per muovere dubbi sul corretto funzionamento della macchina giudiziaria australiana (vedi per esempio qui e qui). Quella stessa macchina in cui Pell ha avuto tanta fiducia da scegliere di lasciare il Vaticano (era a capo della Segreteria per l’Economia e le Finanze), dove avrebbe potuto godere di immunità diplomatica, per affrontare a viso aperto un’accusa di cui si è sempre dichiarato innocente.

Ma il clima in cui si sono svolti i processi – con Pell e i suoi avvocati insultati da una folla urlante di attivisti fuori dal tribunale, e gran parte dei mass media impegnati ad alimentare un clima di odio e di caccia alle streghe – testimonia della difficoltà di ottenere un processo equo in quel Paese.

LE TAPPE GIUDIZIARIE

Nel marzo del 2019, il giudice Peter Kidd ha condannato il cardinale Pell a sei anni di prigione, con la possibilità, dopo tre anni e otto mesi, di ottenere la libertà su cauzione. Pell è stato ritenuto responsabile dalla giuria di cinque atti di aggressione sessuale (quattro dei quali contemporanei) contro due ragazzi del coro che nel 1996, all’epoca della sua nomina ad arcivescovo di Melbourne, avevano 13 anni. Secondo l’accusa, Pell, subito dopo una solenne Messa domenicale, ancora vestito con i paramenti liturgici, avrebbe assaltato sessualmente in una sacrestia non isolata due ragazzini del coro, sorpresi a bere il vino da usare per la consacrazione, obbligandone uno alla fellatio e usando l’altro per masturbarsi. Il tutto in cinque-sei minuti. In un’altra occasione avrebbe spinto una delle vittime contro un pilastro toccandogli i genitali.

Da rimarcare che questi sarebbero stati gli unici abusi commessi dall’imputato in tutta la sua vita. E già questo appare singolare. Chi è esperto di questi casi sa che i responsabili reiterano le aggressioni; anche in luoghi diversi e a distanza di tempo, con diverse vittime. Non si fermano certo a un singolo episodio.

La prima condanna è stata pronunciata da una giuria popolare, composta di 12 persone. Ora, è interessante osservare che la condanna è venuta in un secondo processo (di primo grado). Infatti, una prima giuria si era espressa – dieci contro due – a favore del proscioglimento dell’accusato. Ma il giudice aveva poi scelto, in mancanza dell’unanimità, di aprire un secondo giudizio.

Da ricordare anche che, sin dal 2014, la Polizia dello Stato di Vittoria aveva aperto un’inchiesta “open ended” per cercare testimonianze e prove per eventuali reati di abuso commessi dal cardinale Pell; e questo anche in assenza di denunce o segnalazioni. L’impressione – e anche più di un’impressione – è che nella polemica lanciata contro la Chiesa cattolica per gli abusi si sia cercato un bersaglio eccellente. E che questo sia stato identificato nel porporato, inviso all’opinione pubblica progressista per le sue posizioni in fatto di omosessualità, gender e matrimonio gay.

La squadra legale di Pell ha presentato appello. Ha detto che il verdetto, emanato dalla (seconda) giuria di 12 persone, è “irragionevole”, perché si basa “unicamente sulla parola del denunciante”. E in effetti, vista dall’esterno, questa circostanza appare assolutamente incredibile: che cioè, a circa vent’anni di distanza da un fatto presunto, chiunque possa essere condannato in base a un’accusa priva di testimonianze di appoggio o di qualsiasi altra prova. Il ricorso affermava poi che “in base a tutta l’evidenza, compresa l’evidenza a discolpa e non contrastata di più di venti testimoni della Corona, non era possibile per la giuria essere soddisfatta oltre ogni ragionevole dubbio unicamente sulla parola dell’accusatore”. La difesa aveva preparato anche un filmato per mostrare alla giuria come fosse impossibile compiere attività sessuale nei luoghi e nei modi descritti dall’accusatore – nella cattedrale e in quel momento della mattina – subito dopo la Messa principale celebrata da Pell: ma la proiezione di questo filmato non è stata permessa dal giudice. Una decisione che viste le circostanze – un’accusa senza testimoni – non appare comprensibile, se non nell’ottica di un pregiudizio contro Pell.

Il ricorso di Pell è stato rigettato nell’agosto 2019, con due voti contro uno. Ma uno dei tre giudici, Mark Weinberg, ha scritto una memoria di duecento pagine per spiegare perché secondo lui esiste “una possibilità significativa” che il cardinale non abbia commesso l’abuso per cui è in galera. Weinberg avrebbe liberato Pell, e ha detto di non poter escludere che alcune parti della denuncia dell’ex ragazzino del coro fossero “costruite”.

Da notare fra l’altro che la seconda presunta vittima, morta per overdose di eroina nel 2014, aveva detto a sua madre di non aver mai subito abusi. Se fosse stata in vita, probabilmente, tutta l’accusa sarebbe caduta. Secondo Weinberg c’era tutto un corpo di evidenze che “rendevano impossibile accettare” il racconto del denunciante. “C’erano inconsistenze, discrepanze, e un certo numero di risposte semplicemente non avevano senso”, ha scritto Mark Weinberg. E continua così: “Un elemento inusuale di questo caso era che dipendeva interamente dall’accettazione del denunciante, al di là di ogni dubbio ragionevole, come di un testimone credibile e affidabile. Tuttavia la giuria è stata invitata ad accettare la sua versione senza che ci fosse nessuna conferma indipendente per essa”.

Per cui Pell è stato condannato a sei anni di prigione in base alla testimonianza della stessa persona che ha sporto la denuncia. Di recente Andrew Bolt di Sky News ha svolto un’inchiesta, ricostruendo, in base all’accusa, i movimenti dei personaggi in quella – non specificata – domenica del 1996 ed è giunta alla conclusione, documentata con un filmato, che semplicemente Pell non avrebbe potuto compiere ciò per cui è stato condannato. Ora, dopo il nuovo ricorso del cardinale, la parola spetta all’Alta Corte.

Vi invitiamo a leggere anche questa ricostruzione, fatta da un commentatore televisivo, che dimostrava come non fosse possibile che George Pell avesse commesso i fatti che gli sono stati attribuiti.

Ora, finalmente, dopo tanta sofferenza, la verità dei fatti è stata ristabilita. Un uomo onesto viene ripulito da accuse infamanti, senza che resti nessuna ombra su di lui. E certamente la sua vicenda sarà di insegnamento anche per la Chiesa, in cui il cardinale torna ora ad avere un ruolo che la Passione attraverso cui è stato condotto non potrà che rendere più luminoso e importante. Una voce resa più forte dalla sofferenza ingiusta che gli è stata inflitta.

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Aggiornamento. Grazie alla cortesia di un lettore pubblichiamo la dichiarazione di Pell dopo la sentenza.

“Ho sempre mantenuto la mia innocenza pur soffrendo di una grave ingiustizia. A ciò è stato posto rimedio oggi con la decisione unanime dell’Alta Corte. Attendo con ansia di leggere la sentenza e le motivazioni della decisione nei dettagli. Non ho alcuna cattiva volontà nei confronti del mio accusatore, non voglio che la mia assoluzione aggiunga al dolore e all’amarezza che molti provano; c’è certamente abbastanza dolore e amarezza. Tuttavia il mio processo non è stato un referendum sulla Chiesa cattolica; né un referendum su come le autorità ecclesiastiche in Australia hanno affrontato il crimine di pedofilia nella Chiesa. Il punto era se io avessi commesso questi terribili crimini, e non l’ho fatto. L’unica base per una guarigione a lungo termine è la verità e l’unica base per la giustizia è la verità, perché giustizia significa verità per tutti. Un ringraziamento speciale per tutte le preghiere e le migliaia di lettere di sostegno.   Voglio ringraziare in particolare la mia famiglia per il loro amore e il supporto e per quello che hanno dovuto fare attraverso la mia piccola squadra di consulenti, quelli che hanno parlato per me e hanno sofferto e tutti i miei amici e sostenitori qui e all’estero. Inoltre i miei più sentiti ringraziamenti e la mia gratitudine a tutto il mio team legale per la loro ferma determinazione nel far prevalere la giustizia, gettare luce sull’oscurità fabbricata e rivelare la verità.
Infine, sono a conoscenza dell’attuale crisi sanitaria. Sto pregando per tutte le persone colpite e il nostro personale medico in prima linea”
(Cardinale George Pell).

 

articolo di Marco Tosatti dal sito www.marcotosatti.com