In Pakistan i cristiani fuggono dagli estremisti islamici che bruciano case e chiese

Come avrete letto sui principali giornali o ascoltato dai telegiornali, lo scorso 16 agosto oltre 1.000 cristiani di Jaranwala, vicino Faisalabad, nel Punjab pakistano, sono stati costretti a fuggire per sottrarsi alle feroci violenze degli estremisti islamici che hanno incendiato e distrutto 21 chiese e cappelle e centinaia di case cristiane. L’ondata di violenza sarebbe stata scatenata da un presunto atto di blasfemia di due cristiani accusati di aver dileggiato il Corano e insultato il Profeta dell’Islam. L’ennesima  volta in cui la legge antiblasfemia in Pakistan viene usata per giustificare violenze private contro i nostri fratelli nella fede. Lacrime di tristezza e paura sono state versate domenica 20 agosto mentre, protetti da un imponente cordone delle forze di polizia, una eroica folla di 700 fedeli partecipava alla Messa fuori dalla chiesa di San Paolo, anch’essa data alle fiamme. La celebrazione è stata presieduta in strada da Mons. Indrias Rehmat, Vescovo di Faisalabad. La Conferenza episcopale cattolica pakistana in un comunicato ha chiesto al governo «non solo di assicurare i colpevoli alla giustizia, ma anche di adottare misure forti per proteggere le minoranze e politiche finalizzate ad evitare che tali incidenti possano verificarsi in futuro». Il comunicato si chiude con una domanda retorica: «Sarà fatta giustizia? È molto triste constatare che le esperienze passate ci dimostrano che non è successo nulla e che tutto è stato dimenticato». Stessa richiesta è giunta dall’Arcivescovo di Islamabad-Rawalpindi, Mons. Joseph Arshad, che ha definito gli attacchi «un atto ripugnante che contraddice l’essenza stessa della pace, del rispetto e della tolleranza che la nostra nazione si sforza di sostenere» e dall’Arcivescovo di Karachi, Mons. Benny Travas. In una lettera che ha inviato ad Aiuto alla Chiesa che Soffre scrive: «ancora una volta abbiamo le stesse vecchie condanne e visite da parte di politici e altri funzionari governativi che esprimono la loro solidarietà alla comunità cristiana», affermando che «”giustizia sarà fatta”, ma in realtà nulla si realizza e tutto viene dimenticato». La Chiesa ovviamente non si è limitata a denunciare l’accaduto, ma si è subito attivata per fornire anche pacchi alimentari, sapone, articoli sanitari, tazze, piatti e altri beni di prima necessità. Aiuto alla Chiesa che Soffre, da sempre vicina ai fratelli in Pakistan, lancia un appello ai benefattori per aiutare la comunità cristiana pakistana, perseguitata e oppressa. Con i collaboratori locali stiamo individuando, con la maggiore rapidità possibile, gli interventi più urgenti, ma per realizzarli c’è bisogno, come sempre, della preghiera e della carità di ogni benefattore. Grazie di cuore in anticipo per ogni donazione, piccola o grande che sia, e fraterni saluti.
Aiuto alla Chiesa che Soffre – Italia