Le tentazioni nel deserto

Il racconto evangelico delle tentazioni di Gesù precisa che fu lo Spirito a spingere Gesù nel deserto, per affrontare un combattimento, corpo a corpo, con il satana. Gesù è vero Dio, ma egli viene in terra, uomo fra gli uomini, come vero uomo. Pertanto doveva sperimentare tutto ciò che è proprio dell’uomo; anche la tentazione del male. Un vero snodo della sua vita: chiamato a decidersi tra il piano del Padre, di cui Egli riconosceva il primato, e che prevedeva un messia sofferente, e l’opinione popolare, che parlava invece di un messia clamorosamente vittorioso. Le tre tentazioni, di cui si narra nel Vangelo, sono, in fondo, riconducibili a una: il potere. Dice il satana: puoi farcela da solo; Dio non serve. Perché macerarti nella fame, non hai forse il potere di trasformare questi sassi in altrettanti panini (Mt.4,3)? Non puoi forse crearti una popolarità ineguagliabile, planando dal cielo tra la gente che affolla i cortili del Tempio (Mt.4,7)? Guarda anche come ti sarebbe facile avere un potere politico illimitato (Mt.4,9). Riprenditi la tua autonomia. Per vincere questa  tentazione Gesù dovrà accettare i limiti della condizione umana e affidarsi non al proprio potere, ma alla Parola di Dio. Fu questa la tentazione primordiale, radice del dramma della storia umana. La lettura del libro della Genesi lo presenta sotto un intreccio di metafore. L’autore sacro creò uno scenario, con alcuni personaggi in tranquillo colloquio tra loro. Uno di questi, il satana, dice ai progenitori: se  volete, voi potete essere come dèi, conoscitori del bene e del male. Vale a dire: voi stessi potreste determinare, in totale autonomia ciò che bene e ciò che è male per voi; potreste decidere voi della vostra felicità. Non avete bisogno di Dio. I nostri progenitori caddero nell’inganno e decisero che era possibile fare a meno di Dio: ormai avrebbero potuto esercitare un potere assoluto su se stessi e sul mondo che li circondava. E’ questo il senso di quanto sentiremo proclamare nella liturgia: allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza, prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito che era con lei, e anche egli ne mangiò (Gen. 3,6). La loro scelta si orientò verso la pretesa di fare a meno di Dio. Lungo il correre dei secoli e dei millenni la tentazione dell’ateismo si ripresentò, a più riprese, con aspetti diversi. Nessun antico appartenente al popolo ebreo dubitò mai della realtà di Dio: per lui era un’evidenza. Tuttavia un dubbio rimaneva: Lui dov’è? Mi è favorevole o contrario? S’interessa ai miei problemi, o no?Non è forse simile a questo il sospetto che insidia tutti noi? Nella storia d’Europa degli ultimi  due secoli, si sono avvicendati alcuni pensatori, la cui predicazione, detto in soldoni, proclamava: se vuoi essere un vero uomo, devi uccidere Dio, eliminare dal tuo orizzonte mentale e dai tuoi comportamenti ogni riferimento ad una autorità divina. Devi sentirti responsabile solo di fronte a te stesso. E’ difficile negare che questa forma di ateismo sia piuttosto diffusa ai nostri giorni. La liturgia di questa prima Domenica è “un deciso richiamo a ricordare come la fede cristiana implichi, sull’esempio di Gesù e in unione con Lui, una lotta “contro i dominatori di questo mondo tenebroso” (Ef 6,12), nel quale il diavolo è all’opera e non si stanca, neppure oggi, di tentare l’uomo che vuole avvicinarsi al Signore: Cristo ne uscì vittorioso, per aprire anche il nostro cuore alla speranza e guidarci a vincere le seduzioni del male”.