Ascensione: «Una nube lo sottrasse ai loro occhi»

  • La solennità dell’Ascensione non celebra la giustificazione di una assenza, ma la forza di una presenza. Non suscita la tristezza di un abbandono, ma l’energia di un cammino e l’attesa di un ritorno. Il Mistero pasquale si compie aprendo le vie di un nuovo viaggio in cui si manifesta la potenza del Cristo nella vita della Chiesa. L’intronizzazione regale del Risorto diventa fonte permanente dell’esistere filiale e condizione dell’esistere della vita liturgica della Chiesa come contemporaneità della salvezza. Camminare su questa terra ed essere soggetti alle fragilità tipiche dell’uomo non preclude che possiamo andare in cielo. Questa convinzione non è solo frutto delle fantasie o delle speranze degli uomini: questa è certezza di fede che nasce dalla solennità liturgica dell’Ascensione. Tutta la tradizione della Chiesa coglie in questo evento la possibilità per la natura umana di essere innalzata e portata nella gloria di Dio.
  • Gesù ascende al cielo, come attirato dal Padre, per poter mandare a noi lo Spirito Santo, il quale non solo ci fa ricordare e comprendere profondamente tutto Gesù e il suo insegnamento, ma farà sì che egli si renda sempre presente in mezzo a noi sino alla fine dei tempi, sino al suo ritorno. Egli ascende per essere il “Presente”: non più legato al tempo e allo spazio, può essere presente in tutti i luoghi e contemporaneo di ogni tempo.
  • In questa cinquantina pasquale, stiamo entrando nella profondità della Pasqua, mistero di risurrezione, ascensione, dono dello Spirito, promessa di stare con noi e ritorno del Signore! Un unico Mistero dai molteplici aspetti. Dall’ascensione del Signore comincia sulla terra la missione della Chiesa che, tra l’andata del Signore e il suo ritorno, lo annuncia e lo rende presente a ogni uomo, in ogni luogo e tempo. Egli non ci ha lasciati soli, ma ha mandato e manda lo Spirito Santo. Da questa Domenica la Chiesa rivive i giorni di preghiera nel Cenacolo dopo l’ascensione del Signore, con gli apostoli, le donne e Maria, la Madre di Gesù.
  • La Domenica dell’Ascensione del Signore si pone come la cerniera tra il pieno compimento della missione di Gesù e l’invio dello Spirito Santo che costituisce la Chiesa. Anche se per parlare della nuova condizione di Gesù si ricorre ad immagini visibili, l’ascensione non è un fenomeno nell’ordine dei sensi, ma ci immerge nel mistero di Dio. Il mistero oggi celebrato è lo stesso mistero della risurrezione: l’uso del “passivo teologico” sottolinea l’agire potente di Dio in Gesù. Non ci parla di “allontanamento”, ma di “gloria”: ci parla dello Spirito di Dio che ci chiama ad essere collaboratori. L’ascensione al cielo, come la risurrezione, è manifestazione della gloria di Dio e i credenti sono chiamati ad essere testimoni e annunciatori della sua “gloria”, a glorificarlo con la loro vita, con la parola e l’azione.
  • L’epilogo del Vangelo secondo Luca ci presenta una sintesi del piano di salvezza. Per Luca il piano di salvezza abbraccia tre tempi: il primo tempo è stato il tempo d’Israele, il popolo della promessa, delle Scritture. Lì, nelle Scritture, era già anticipata l’opera salvifica che Gesù avrebbe realizzato. E’ Gesù stesso che dà la chiave per interpretare tutto: «Così sta scritto…». Opera di salvezza iniziata in Israele: la predicazione si farà cominciando da Gerusalemme. Il secondo tempo è stato il tempo di Gesù, quello della sua presenza storica; anche la sintesi di quest’opera è messa in boc­ca a Gesù: «… che il Cristo soffrisse e risuscitasse». L’ultimo ge­sto di Gesù sulla terra: «alzando le mani, li benedisse». L’ultima azione del Maestro di fronte ai suoi. Lì stavano, per l’ultima vol­ta sulla terra, le mani di Gesù. Erano le mani che hanno spezza­to le barriere tra quello che si può e quello che non si può toc­care. Le mani che hanno preso la figlia di Giairo per risvegliarla dalla morte e reintegrarla alla mensa familiare. Le mani che si sono imposte sulla donna curva perché si raddrizzasse e potesse glorificare Dio. Le mani che non avevano bisogno di purificarsi con riti o lavacri perché esprimevano con santità e purezza la ricchezza del cuore. Nell’ultimo capitolo del Vangelo le mani di Gesù acquisiscono un’importanza fondamentale: sono il segno perché il Risorto sia riconosciuto: i due discepoli che andavano a Emmaus riconoscono il Signore quando egli spezza il pane e li benedice. Poco più tardi, questo stesso giorno, quando egli ap­pare alla comunità riunita e, di fronte alla loro confusione, si ri­vela: «Guardate le mie mani e i miei piedi, sono Io». Le sue mani sono un segno che porta i suoi al riconoscimento. Era coerente che l’ultimo gesto venisse dalle sue mani. A partire da quel momento comincia il terzo tempo, quello dei testimoni: «Voi siete testimoni di tutto ciò». Cos’è tutto ciò che bisogna testimoniare? Vi sono le parole ascoltate e i gesti visti e conosciuti; annunciare con parole di gioia il compimento della promessa: il Cristo ha sofferto ed è risuscitato, ci ha fatto raggiungere la salvezza. Le mani dei testimoni, come le mani di Gesù, dovrebbero anch’esse essere segni di riconoscimento, ma­ni che si avvicinano al dolore, mani capaci di consolare, mani di tenerezza, mani che non accumulino egoisticamente il pane, ma che lo spezzino, lo condividano e benedicano Dio per questo.
  • San Luca ci ha lasciato due racconti dell’Ascensione, che presentano lo stesso avvenimento in una luce diversa: nel Vangelo il racconto costituisce quasi una dossologia: il finale glorioso della vita pubblica di Gesù; negli Atti, l’Ascensione è vista come il punto di partenza dell’espansione missionaria della Chiesa (questa è pure la prospettiva degli altri due sinottici, Mt 28 e Mc 16).
  • L’insieme dei testi biblici odierni invita ad andare al di là dell’avvenimento dell’Ascensione descritto in termini spazio-temporali: la “elevazione” al cielo del Signore risorto, i “quaranta giorni” dopo la Pasqua, sono solo un modo per indicare la conclusione di una fase della Storia della Salvezza e l’inizio di un’altra. Quel Gesù con il quale i discepoli hanno “mangiato e bevuto” continua la sua permanenza invisibile nella Chiesa. Essa è chiamata a continuare la missione e la predicazione di Cristo e riceve il compito di annunciare il Regno e rendere testimonianza al Signore. Per questo gli angeli, dopo l’Ascensione del Risorto, invitano gli apostoli a non attardarsi a guardare il cielo: l’avvenimento a cui hanno assistito non coinvolge solamente loro; al contrario, da esso prende il via un dinamismo universale, “salvifico” e “missionario” che sarà animato dallo Spirito Santo (cfr. Prima Lettura, v. 5). Per la forza di questo Spirito, il Cristo glorificato e costituito Signore universale, capo del Corpo-Chiesa e del Corpo-umanità, attira a sé tutte le sue membra perché accedano, con lui e per lui, alla vita presso il Padre. Anzi, egli stesso anima questi uomini nella loro ricerca di libertà, di dignità, di giustizia, di responsabilità; il loro desiderio di “essere di più”, la loro volontà di costruire un mondo più giusto e più unito. Così, la Comunità dei credenti, consapevole di aver ricevuto un potere divino, piena di slancio missionario e di gioia pasquale, diventa nel mondo testimone della nuova realtà di vita realizzata in Cristo Signore.
  • Siano valorizzati oggi i momenti che permettono di percepire la presenza di Cristo in mezzo ai suoi come presenza che li convoca e li invita all’ascolto e allo spezzare del Pane. La sequenza rituale che ruota intorno alla venerazione dell’altare e al saluto del popolo radunato: è dal riconoscimento della presenza di Cristo (l’altare al centro dell’attenzione del popolo radunato), espressa mediante la venerazione (anche con l’incenso), che si sviluppa il saluto-annuncio al popolo («Il Signore sia con voi»). L’incensazione dell’altare sottolinea il significato simbolico di presenza di Cristo in mezzo ai suoi. L’esecuzione del canto festivo della Grande Dossologia, tesoro della preghiera cristiana e grande inno trinitario di lode e di supplica, il cui cuore centrale è l’invocazione rivolta a Cristo. La proclamazione della Parola di Dio è leggere davanti all’assemblea, in una celebrazione, un annuncio solenne dal contenuto importante; è rendere attuale, viva la Parola in quel momento. In un’assemblea il lettore non si improvvisa, ma è un servizio, un ministero che si impara: occorre, quindi, che chi legge si prepari adeguatamente e che il luogo proprio dove si proclama la Parola di Dio, l’ambone, sia dignitoso, evidente e ben illuminato. Il Salmo responsoriale è risposta alla Parola di Dio appena ascoltata nella Prima Lettura; è un canto rituale della Celebrazione Eucaristica: come tale si avrà cura che la scelta del ritornello, per quanto riguarda l’assemblea, consti di una melodia facilmente memorizzabile e non banale (si può anche optare, nelle Domeniche del tempo di Pasqua, per un ritornello alleluiatico). L’uso dell’evangeliario con una significativa processione all’ambone, con l’impiego di torce e di incenso.
  • Si celebri la Liturgia odierna con la stessa solennità del giorno di Pasqua. La tensione verso la grande festa della Pentecoste deve certamente emergere dal contesto liturgico odierno. Purtroppo, una serie di circostanze di tipo storico e sociologico contribuiscono a far vivere questo giorno in tono minore e non con la solennità che esso merita. Non è il caso di rassegnarsi passivamente ad una tale situazione: vanno pensate azioni pastorali che ne innalzino la percezione da parte della Comunità celebrante.
  • In alcune Comunità si svolge in questi giorni la novena di Pentecoste o novena allo Spirito Santo; ma è davvero opportuna e/o necessaria? Ci basti seguire giorno per giorno la Liturgia della Chiesa (Messale, Lezionario, Liturgia delle Ore), dal respiro robusto e dall’orizzonte sconfinato: ci prepariamo a vivere il cinquantesimo giorno della Pasqua, una grande Pentecoste. Nelle Parrocchie si metta ogni cura per celebrare, oltre l’Eucaristia, anche le Lodi al mattino e i Vespri la sera. I fedeli, per esperienza, si affezionano a questa preghiera, anche i meno giovani, basta avere la pazienza di insegnare, accompagnare, celebrare con loro, da parte di animatori, sacerdoti, diaconi, ministri istituiti e di fatto. La Parrocchia, in realtà, lungo l’Anno è e deve essere innanzitutto scuola di formazione alla preghiera e alla vita spirituale, propria di chi cammina sulle orme di Gesù e cresce in lui.
  • Oggi ricorre la 59ª Giornata per le Comunicazioni sociali. Il tema del messaggio che Papa Francesco ci ha lasciato, da distribuire opportunamente oggi a tutti, è: “Condividete con mitezza la speranza che sta nei vostri cuori” (cfr. 1Pt 3,15-16). Sia occasione propizia per rivedere le modalità di annunzio del Vangelo nel mondo e nel tempo in cui viviamo.

a cura dell’Ufficio Liturgico della Diocesi di Como