10. L’accompagnamento pastorale e il sostegno dei sacramenti
Il momento della morte è un passo decisivo dell’uomo nel suo incontro con Dio Salvatore. La Chiesa è chiamata ad accompagnare spiritualmente i fedeli in questa situazione, offrendo loro le “risorse sananti” della preghiera e dei sacramenti. Aiutare il cristiano a viverlo in un contesto d’accompagnamento spirituale è un atto supremo di carità. Proprio perché «nessun credente dovrebbe morire nella solitudine e nell’abbandono»,[83] è necessario creare attorno al malato una solida piattaforma di relazioni umane e umanizzanti che lo accompagnino e lo aprano alla speranza.
La parabola del Buon Samaritano indica quale debba essere il rapporto con il prossimo sofferente, quali atteggiamenti da evitare – indifferenza, apatia, pregiudizio, paura di sporcarsi le mani, chiusura nei propri affari – e quali intraprendere – attenzione, ascolto, comprensione, compassione, discrezione.
L’invito all’imitazione, «Va’ e anche tu fa’ lo stesso» (Lc 10, 37), è un monito a non sottovalutare tutto il potenziale umano di presenza, di disponibilità, di accoglienza, di discernimento, di coinvolgimento, che la prossimità verso chi è in situazione di bisogno esige e che è essenziale nella cura integrale della persona malata.
La qualità dell’amore e della cura delle persone in situazioni critiche e terminali della vita concorre ad allontanare in queste il terribile ed estremo desiderio di porre fine alla propria vita. Solo un contesto di calore umano e di fraternità evangelica, infatti, è in grado di aprire un orizzonte positivo e di sostenere il malato nella speranza e in un fiducioso affidarsi.
Tale accompagnamento fa parte del percorso definito dalle cure palliative e deve comprendere il paziente e la sua famiglia.
La famiglia, da sempre, ha rivestito un ruolo importante nella cura, la cui presenza, sostegno, affetto, costituiscono per il malato un fattore terapeutico essenziale. Essa, infatti, ricorda Papa Francesco, «è stata da sempre l’“ospedale” più vicino. Ancora oggi, in tante parti del mondo, l’ospedale è un privilegio per pochi, e spesso è lontano. Sono la mamma, il papà, i fratelli, le sorelle, le nonne che garantiscono le cure e aiutano a guarire».[84]
Il farsi carico dell’altro o il prendersi cura delle sofferenze altrui è un impegno che coinvolge non solo alcuni, ma abbraccia la responsabilità di tutti, di tutta la comunità cristiana. San Paolo afferma che, quando un membro soffre, tutto il corpo è nella sofferenza (cfr. 1 Cor 12, 26) e tutto intero si china sul membro malato per recargli sollievo. Ognuno, per la sua parte, è chiamato ad essere “servo della consolazione” di fronte a qualsivoglia situazione umana di desolazione e sconforto.
L’accompagnamento pastorale chiama in causa l’esercizio delle virtù umane e cristiane dell’empatia (en-pathos), della compassione (cum-passio), del farsi carico della sua sofferenza condividendola, e della consolazione (cum-solacium), dell’entrare nella solitudine dell’altro per farlo sentire amato, accolto, accompagnato, sostenuto.
Il ministero di ascolto e di consolazione che il sacerdote è chiamato ad offrire, facendosi segno della sollecitudine compassionevole di Cristo e della Chiesa, può e deve avere un ruolo decisivo. In questa importante missione è oltremodo importante testimoniare e coniugare quella verità e carità con cui lo sguardo del Buon Pastore non smette di accompagnare tutti i suoi figli. Data l’importanza della figura del sacerdote nell’accompagnamento umano, pastorale e spirituale dei malati nelle fasi terminali della vita, occorre che nel suo percorso di formazione sia prevista una aggiornata e mirata preparazione al riguardo. È altresì importante che siano formati ad un tale accompagnamento cristiano anche i medici e gli operatori sanitari, poiché vi possono essere circostanze particolari che rendono assai difficoltosa un’adeguata presenza dei sacerdoti al capezzale dei malati terminali.
Essere uomini e donne esperti in umanità significa favorire, attraverso gli atteggiamenti con cui ci si prende cura del prossimo sofferente, l’incontro con il Signore della vita, l’unico capace di versare, in maniera efficace, sulle ferite umane l’olio della consolazione e il vino della speranza.
Ogni uomo ha il diritto naturale di essere assistito in quest’ora suprema secondo le espressioni della religione che professa.
Il momento sacramentale è sempre culmine di tutto l’impegno pastorale di cura che precede e fonte di tutto ciò che segue.
La Chiesa chiama sacramenti «di guarigione»[85] la Penitenza e l’Unzione degli infermi, che culminano nell’Eucaristia come “viatico” per la vita eterna.[86] Mediante la vicinanza della Chiesa, il malato vive la vicinanza di Cristo che lo accompagna nel cammino verso la casa del Padre (cfr. Gv 14, 6) e lo aiuta a non cadere nella disperazione,[87] sostenendolo nella speranza, soprattutto quando il cammino si fa più faticoso.[88]