“Samaritanus bonus” 5.5: L’insegnamento del magistero: Il ruolo della famiglia e gli hospice

5. Il ruolo della famiglia e gli hospice

Nella cura del malato terminale è centrale il ruolo della famiglia.[69] In essa la persona si appoggia a relazioni salde, viene apprezzata in sé stessa e non soltanto per una sua produttività o un piacere che può generare. Nella cura, infatti, è essenziale che il malato non si senta un peso, ma che abbia la vicinanza e l’apprezzamento dei suoi cari. In questa missione, la famiglia ha bisogno di aiuto e di mezzi adeguati. Occorre, pertanto, che gli Stati riconoscano la primaria e fondamentale funzione sociale della famiglia e il suo ruolo insostituibile, anche in questo ambito, predisponendo risorse e strutture necessarie a sostenerla. Inoltre, l’accompagnamento umano e spirituale della famiglia è un dovere nelle strutture sanitarie di ispirazione cristiana; essa non va mai trascurata, poiché costituisce un’unica unità di cura con il malato.

Accanto alla famiglia, l’istituzione degli hospice, dove accogliere i malati terminali per assicurarne la cura fino al momento estremo, è cosa buona e di grande aiuto. Del resto, «la risposta cristiana al mistero della morte e della sofferenza non è una spiegazione, ma una Presenza»[70] che si fa carico del dolore, lo accompagna e lo apre ad una speranza affidabile. Tali strutture si pongono come un esempio di umanità nella società, santuari di un dolore vissuto con pienezza di senso. Per questo devono essere equipaggiate con personale specializzato e mezzi materiali propri di cura, sempre aperti alle famiglie:«A tale riguardo, penso a quanto bene fanno gli hospice per le cure palliative, dove i malati terminali vengono accompagnati con un qualificato sostegno medico, psicologico e spirituale, perché possano vivere con dignità, confortati dalla vicinanza delle persone care, la fase finale della loro vita terrena. Auspico che tali centri continuino ad essere luoghi nei quali si pratichi con impegno la “terapia della dignità”, alimentando così l’amore e il rispetto per la vita».[71] In tali contesti, così come in qualsiasi struttura sanitaria cattolica, è doveroso che vi sia la presenza di operatori sanitari e pastorali preparati non solo sotto il profilo clinico, ma anche esercitanti una vera vita teologale di fede e speranza, indirizzate verso Dio, poiché essa costituisce la più alta forma di umanizzazione del morire.[72]