Secondo gli studi di David Greenfield, professore di psichiatria all’Università del Connecticut, l’attaccamento allo smartphone è molto simile a tutte le altre dipendenze, perché causa delle interferenze nella produzione della dopamina, il neurotrasmettitore che regola il circuito celebrale della ricompensa: in altre parole, incoraggia le persone a svolgere attività che credono gli daranno piacere.
Così ogni volta che vediamo apparire una notifica sul cellulare, che sia un messaggino o una nuova e-mail, sale il livello di dopamina, perché pensiamo – anche se sarebbe il caso di dire, speriamo – che ci sia in serbo per noi qualche cosa di nuovo e interessante. Il problema però è che non possiamo sapere in anticipo se accadrà davvero qualche cosa di bello, così si ha l’impulso di controllare in continuazione. Proprio come giocare con una slot machine: sperando nella combinazione che ci renderà milionari, continuiamo a giocare. E per controllare le notifiche non serve nemmeno una moneta: basta impugnare lo smartphone.
Secondo un sondaggio condotto dall’ente di ricerca britannico YouGov, più di sei ragazzi su dieci tra i 18 e i 29 anni vanno a letto in compagnia del telefono: un altro inequivocabile sintomo che qualche cosa non funziona. Nicola Luigi Bragazzi e Giovanni Del Puente, studiosi dell’Università di Genova, hanno proposto che la nomofobia venga inserita nel «Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali», conosciuto dagli addetti ai lavori con la sigla Dsm, dal titolo dell’edizione statunitense.
«Come in ogni dipendenza, il primo sintomo è la negazione – spiegano i ricercatori. Anche se la tecnologia ci consente di sbrigare il nostro lavoro più velocemente e con efficienza, i dispositivi mobili possono avere un effetto pericoloso sulla salute: dobbiamo indagare il fenomeno ancor più in profondità e studiarne gli aspetti psicologici». «Quella sensazione di “perdersi qualche cosa” se non si controlla costantemente, è del tutto illusoria – conclude Greenfield -. Quello che succede sullo schermo non ha nulla a che fare con la nostra vita».
articolo preso dal sito www.bastabugie.it