«Stop alla cannabis light, era un cavallo di Troia per le droghe»

«La Cannabis cosiddetta light è un cavallo di Troia per aprire la strada alla cannabis per uso ricreativo». Dietro il lungo percorso che ha portato il Governo ad approvare l’emendamento contenuto nel Decreto sicurezza che mette al bando la Cannabis light ci sono delle evidenze scientifiche che mostrano come dalla semplice estrazione del principio attivo contenuto nelle infiorescenze vendute negli shop, si possa ricavare una quantità di thc sufficientemente drogante.

Dietro questi studi c’è anche il professor Giovanni Serpelloni, oggi direttore del Neuroscience Clinical Centre di Verona che illustra alla Bussola il percorso che ha portato il Parlamento ad approvare l’emendamento, che a settembre diventerà legge a tutti gli effetti e metterà al bando definitivamente gli shop di cannabis tanto cari alla Sinistra.

Un percorso che parte da lontano, già con il Governo Conte, quando Serpelloni e altri neuroscienziati di quattro istituti di medicina legale, confezionarono uno studio dettagliato per mettere in guardia il Governo dall’approvazione della Cannabis light.

«È bene partire dall’esistenza di una lobby (nel senso anglosassone del termine) che aveva organizzato una strategia intelligente e orientata e che consisteva nel promuovere la realizzazione di oltre 2000 punti negozi che vendevano Cannabis light a basso contenuto di thc – spiega alla Bussola Serpelloni -. Contemporaneamente veniva portata avanti una strategia che di fatto serviva a preparare una vera e propria rete commerciale. Una volta diffusa la rete della Cannabis light, non restava che approvare l’uso ricreativo del thc ed ecco che la rete di distribuzione e vendita era pronta per il vero business che interessava alla lobby: la cannabis per uso ricreativo».

Giova ricordare che gli effetti sul cervello e sulla psiche negli adolescenti da un uso sistematico di cannabis può compromettere la normale maturazione cerebrale e che è una sostanza «gateway».

«Significa – prosegue il neuroscienziato -, come dimostrano i dati della Relazione al Parlamento 2024 sul fenomeno delle tossicodipendenze in Italia, che una percentuale consistente di soggetti trattati nei Sert italiani ha iniziato con l’uso di cannabinoidi. In particolare, tale valore è pari al 29,1% nei soggetti in trattamento per uso primario di eroina e 30,1% per uso primario di cocaina».

Con questa premessa si comprende che l’obiettivo del Governo sia stato quello di fermare una diffusione di una sostanza che è una vera e propria porta per l’uso di cannabinoidi e poi di droghe.

Come?

Serpelloni ha raccontato di aver testato più volte le sostanze vendute negli shop. «Abbiamo campionato la sostanza in 4 città e abbiamo scoperto che, oltre alle cosiddette infiorescenze per tisane o altri preparati, venivano venduti anche gli estrattori del principio attivo. Estrattori capaci di ricavare dal principio attivo una elevata dose drogante di thc».

Una volta terminati gli studi, si è scelta la strada istituzionale per non portare il materiale raccolto nel fuoco incrociato del cosiddetto contro marketing. E così sono state avvertite le autorità governative, le quali hanno compreso subito che dietro questi “innocui” shop c’era un vero e proprio business per arrivare ad altro.  

Ecco perché oggi si può parlare di cavallo di Troia. Oggi la Sinistra e i Radicali cercano di fare leva sul vittimismo di una filiera produttiva e commerciale in ginocchio a causa di una legge proibizionista, si parla di 15mila posti di lavoro persi per diverse centinaia di milioni di fatturato.

«Ma è un falso problema – insiste il neuroscienziato veronese -. Lo Stato deve fare i conti con la realtà e solo gli allocchi potevano non capire che era una strategia commerciale per favorire la diffusione di thc ad alte concentrazioni, delle tisane alla cannabis non importa nessuno perché non fanno volumi di vendita importanti. Ma se fai un investimento devi accollarti il rischio imprenditoriale e calcolarlo, se si è pensato di portare avanti una strategia di marketing confidando di piegare la legge al proprio tornaconto, allora questo non è un problema che lo Stato deve porsi, perché lo Stato è intervenuto esclusivamente per un problema di salute pubblica, non di limitazione di una iniziativa imprenditoriale».

Resta però la martellante campagna sui benefici della cannabis per uso medico, falsamente spacciati per uso terapeutico. «Noi clinici abbiamo sperimentato l’uso di questa sostanza, ma abbiamo avuto poca soddisfazione. In realtà – conclude Serpelloni – l’uso medico della cannabis è un grande flop, che non dà i risultati sperati e soprattutto dà numerosi effetti collaterali». In poche parole: i rischi superano i benefici. «Non dimentichiamo che è una sostanza psicoattiva: molti pazienti, dopo un certo tempo di utilizzo della cannabis per uso medico, hanno dei disturbi e noi clinici dobbiamo correre ai ripari per compensare i disturbi psichici di farmaci che non sono ben controllabili».

Anche qui, è bene non lasciarsi ingannare dalla propaganda radicale: «Il vero business non è sui quei “4 malati” che la usano, ma l’obiettivo che si possa arrivare all’uso ricreativo anche tramite l’uso medico, come fu teorizzato 30 anni fa in Germania».   

Articolo di A. Zambrano tratto dal sito www.lanuovabq.it