Sono stato toccato da uno dei significativi passaggi, fra i tanti, che Papa Leone XIV ha consegnato in occasione della Messa per il Giubileo dei giovani. Con concretezza e sorprendente lucidità ha toccato il tema della fragilità e lo ha fatto a partire da un’immagine, quella dell’erba, tratta dal Salmo 89: “L’erba germoglia; al mattino fiorisce e germoglia, alla sera è falciata e secca”. Questa immagine, nelle sue parole, è parabola dell’esistenza umana, chiave per comprendere la fragilità e il desiderio di infinito che abitano il cuore di chi non si accontenta. Il Papa non ha addolcito la forza disarmante di questa immagine. Anzi, ne ha sottolineato la carica “scioccante”, scegliendo però di non rifuggire da essa.

La fragilità, ha detto, è parte della “meraviglia che siamo”. Una frase semplice, eppure radicalmente controcorrente. In un mondo che considera la debolezza una sconfitta da nascondere, e la giovinezza una moneta da spendere in fretta prima che si svaluti, Leone XIV ha proposto una teologia della fragilità, in cui il temporaneo non è negazione della vita, ma condizione per il suo rinnovarsi. Il paragone dell’erba dice sicuramente la struttura della nostra esistenza: essa sa piegarsi al vento resistendogli, sa fiorire e portare fecondità e bellezza, sa poi diventare, quando secca, concime per quella che verrà dopo. Tale visione, non va intesa solo nell’aspetto biologico (che in sè è già scontato), ma preminentemente in quello spirituale. Se guardo alla mia “fragilità” in ordine al piano di Dio, posso scoprire due cose fondamentali, che sono già emerse nei passaggi precedenti. Una è che nonostante la mia vita sia fragile e limitata, essa è toccata dall’Amore e dalla Grazia di Dio. Sapere che la mia persona può essere capace di collaborare positivamente al disegno di Dio è cosa, che se ci pensiamo, ci fa venire le vertigini. Dalla fragilità può sorgere, per tutti, la santità, che ci rende capaci di desiderare, ed è la seconda cosa, l’infinito. E’ bello ricordarci che siamo fatti per l’eternità, e che il cammino su questa terra ci conduce nel presente a tendere a ciò. Scoprirsi “fragili” non è un limite, ma è una molla che apre al desiderio di Dio. Lo stesso Gesù Cristo si è fatto “fragile” assumendo la natura umana per donarci la salvezza. E’ passato attraverso l’esperienza della Croce per donarci la realtà invincibile della Pasqua, nel simbolo del seme che muore per portare frutto. La percezione di sentirsi fragili ma amati da Dio ci può aiutare a vivere la vita non con una mentalità che attraverso la distrazione (che letteralmente significa: ”assenza del pensiero dalla realtà oggettiva”) ci porta a dimenticare chi veramente siamo, ma a condurci alla concretezza di una esistenza che è preziosa e vale. La riflessione sulla fragilità ci ricorda anche, che nella esperienza della malattia o della sofferenza, espressione del limite, non smettiamo di essere persone e che possiamo unirci alla realtà di Cristo. don Luca