Guardando alle esperienze quotidiane ci si accorge di aspetti che sono alquanto evidenti. Il tema del perdono ci offre un parametro su cui misurare la nostra possibilità di crescita. Senza essere luminari della psicologia ma osservando le dinamiche comuni si comprende come il perdono sia meno necessario per riconciliarsi con dei nemici che per vivere con le persone vicine. Innanzitutto la grande riconciliazione col grande nemico lusinga il nostro ego: “Guarda come sono stato bravo!”, “Ho perdonato quel poco di buono!”. La superbia che se ne ricava può spingerci a farlo, più che la misericordia. Mentre in una riconciliazione nella propria cerchia familiare, non c’è nulla di cui vantarsi, è misericordia senza apparato, cavalleria senza cavallo. Essere eroi esige meno eroicità che essere mariti o padri. L’ego è portato dalla grandezza nell’affrontare il gigante furioso; il padre conosce l’umiliazione disarmato davanti ai furori della figlia, o alla vaporosità dei rapporti col figlio (specie nella turbolenza dell’adolescenza…). E quando l’eroe riesce a fumare il calumet della pace (immagine desunta dai fumetti di Tex Willer che leggevo da ragazzo…), è in prima pagina sul giornale; ma quale notorietà potrebbe acquisire un padre per il fatto che sua figlia gli parli in modo gentile durante la colazione? I grandi eventi sono raccontati di bocca in bocca, le piccole “vittorie” quotidiane rimangono spesso nell’anonimato. Inoltre, non sono proprio quelli che amiamo ad avvicinarci al crimine perfetto? Non hanno bisogno di avere astuzia né malignità speciali. Abitano semplicemente con noi, sotto lo stesso tetto. Ed eccoli che attaccano proprio nel momento in cui si stava andando a dormire, o quando non si è ancora ben svegli. Non che abbiano teso un agguato, è che la frequentazione e la abitudinarietà fanno trascurare le forme che si curano nella vita sociale. Nell’anticamera, in cucina, in sala, chi ha rilasciato i freni incrocia chi ha abbassato la guardia. In famiglia si urla a volte più facilmente che fra avversari politici. Con le persone estranee si fa attenzione, con i “fratelli” (pensiamo a Pietro che domanda a Gesù: Signore, se mio fratello commette colpe verso di me, quante volte devo perdonargli? Mt 18,21) ci si dice le cose in faccia, ci si rimprovera di non essere santi e si rischia di scoraggiarsi a diventarlo. E allora c’è proprio bisogno di perdonarsi “Settanta volte sette” e comprendiamo quindi come Gesù abbia dato questo invito per preservare gli affetti più importanti, per evitare che una parola di troppo o un silenzio prolungato spengano l’amore. “Settanta volte sette” è una misura infinita nella Bibbia, ma come è infinito l’amore fra due persone, fra genitori e figli. E’ sorprendente vedere come il perdono apra i cuori alla riscoperta della bellezza dell’altro. don Luca
