Ddl Zan, la favola del «paese reale più avanti delle istituzioni» non regge

Il ddl Zan è finito come molti pronosticavano già da mesi. Alla volontà di non mediare, e di farne una bandiera di battaglia ideologica, è corrisposto nessun risultato. Il problema è tutto interno al centrosinistra, alla vecchia maggioranza del Conte 2 per capirci.

Il Pd reciti un mea culpa

Addossare alla destra qualche responsabilità fa parte della cortina fumogena per mascherare errori strategici gravi del senatore Alessandro Zan e del segretario del Pd Enrico Letta. La destra fa la destra, difende i suoi valori e la sua visione del mondo. Nessun centrodestra del mondo occidentale avrebbe votato una legge così scritta e concepita, che per altro non allargava i diritti di nessuno ma erigeva soltanto meccanismi punitivi e mirava a introdurre un controllo del linguaggio. Chi grida al clerico-fascismo, al bigottismo, alla reazione in realtà non vuole far altro che continuare il gioco della polarizzazione in cui si è voluta infilare la sinistra.

La destra aveva persino offerta la sua disponibilità alla trattativa a fronte di una modifica del testo, cosa ci si sarebbe dovuto aspettare di diverso da Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia? Il problema è tutto interno al recinto di Letta, di una coalizione sempre più debole e sgangherata. E che vede in Matteo Renzi un killer implacabile dell’alleanza progressista a favore della costruzione di un centro autonomo capace di far da ago della bilancia nel prossimo futuro. Ma tutto questo si sapeva oramai da anni. La caccia ai colpevoli e ai traditori è insensata, e nel Pd andrebbe piuttosto recitato un mea culpa