Ha tenuto banco in questi giorni, (guarda a caso nella Settimana Santa…) la notizia secondo la quale il Papa avrebbe confidato, in un colloquio con il fondatore di un quotidiano italiano, che l’Inferno non esiste, e che le anime che non vanno in Paradiso dopo la morte si dissolvono. Mi vengono in mente alcune riflessioni, prendendo come punto di partenza che il Papa si guarderebbe bene dal dire una simile eresia molto grave, o lasciare nel dubbio coloro che lo seguono e credono nella Chiesa di Gesù Cristo. Una prima riflessione, più bonaria, è che il giornalista, che ha passato i novant’anni, sia affetto da una simpatica senescenza per cui prenda lucciole per lanterne, e in un rigurgito di protagonismo si senta depositario di nuove e sensazionali rivelazioni. L’altra, invece, è quella che si voglia volutamente gettare fumo negli occhi e quindi confusione sugli aspetti centrali della Rivelazione. Che il Santo Padre non abbia detto questo azzardo è semplicemente per il fatto che nel Vangelo su questo Gesù parla chiaro: l’Inferno esiste come esiste il diavolo che nell’Inferno vuole portare le anime che separa da Dio. Porre in dubbio questi aspetti vorrebbe dire vanificare la salvezza di Cristo, rendere inutile il suo morire in Croce e il suo risorgere. La pena dell’inferno è uno «stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1033). Se l’anima peccatrice scomparisse dopo la morte non avrebbe senso di parlare di “stato di autoesclusione da Dio” e dunque il Catechismo cadrebbe in errore. Dobbiamo però provare come si arriva a questa condizione, ossia dobbiamo provare l’esistenza dell’Inferno. In altri termini: perché l’uomo potrebbe meritare una simile pena? Tommaso D’Aquino risponde innanzitutto ricordando che la pena perché sia giusta deve rispettare un principio di proporzionalità, ossia deve essere adeguata alla gravità del peccato commesso: al peccato grave, radicale, assoluto e definitivo deve corrispondere una pena altrettanto grave, radicale, assoluta e definitiva. E dunque al rifiuto del sommo bene che è Dio deve corrispondere la pena massima, cioè la più dolorosa – e non c’è pena più dolorosa che essere separati da Dio – e la più estesa in senso temporale: una pena che mai dovrà finire. Più semplicemente, potremmo dire che ad una colpa infinita per gravità deve corrispondere una pena infinita nelle sue dimensioni di intensità (perdita di Dio) e durata (eternità). Il mondo delle notizie false (fake news) impera anche riguardo alle verità di fede, ma alla fin fine non fa altro che dimostrare che il diavolo esiste e che cerca in tutti i modi di fare il suo sporco lavoro… solo che, ed è bello poterlo affermare, la Pasqua di Cristo getta una luce di liberazione e di verità sul desiderio profondo dell’uomo di essere salvato e di tendere all’eternità. Buona Pasqua! don Luca
