C’è il detto comune che recita: “fra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”. Questa frase centra poco o niente con quanto verrà scritto qui sotto; prendo solo il verbo “fare” e lo pongo accanto al verbo “stare”. Questa riflessione sorge dall’osservazione di come non pochi, anzi una buona fetta, dei cosiddetti “praticanti” vivono la tensione fra questi due termini. In questo pensiero lascio momentaneamente da parte coloro che sono lontani, distanti, persi di vista o un po’ “smemorati” in merito alla vita di fede (anche se spessissimo il pensiero va a costoro e ad essi sono rivolti attenzioni nella pastorale). Questo per via del fatto che per queste categorie di persone, al momento (si spera possano cambiare) né il “fare” né lo “stare”, sono al centro delle loro attenzioni.

Fra i praticanti si nota come non di rado si tenda più ad essere presenti per “fare” qualcosa, in aspetti legati ad impegni nella vita della comunità. Se c’è da “fare” qualcosa ci si muove, anche alla sera, anche quando d’inverno fa freddo, anche quando d’estate fa caldo (poi non ci sono più le mezze stagioni…). Se si deve “fare” qualcosa allora ci si butta. Si fa qualcosa per chi? Per che cosa? Qua la domanda apre il ventaglio ad una serie di possibili risposte, alcune delle quali possono rivelare una qualità della vita spirituale un po’ traballante. Se si fanno le cose solo perché piacciono, e si investono energie e tempi per fare ciò, c’è il rischio che si fanno solo per sé stessi. Con le conseguenze non solo dello smettere quando non piacciono più, ma di togliere il Signore da esse. Lo “stare” invece è una “perdita di tempo”, nel senso bello del termine. Perdo del tempo per “stare” col Signore, senza rinunciare al “fare” ma mettendo Lui al centro dell’agire. Se trovo il tempo per “fare” le cose, ma non trovo mai, o quasi mai, il tempo per “stare” col Signore nell’Adorazione Eucaristica, nella Messa feriale (molti possono, molti…), nei Rosari comunitari, e via dicendo, allora la tentazione di mettere al centro il mio “io” e non “Dio” è molto forte. Lo “stare” col Signore mi permette di ricentrarmi sull’essenziale, su ciò per cui vivo il mio “fare” e anche ricordarmi che non sono fatto per stare in perpetuo su questo mondo, e che lo “stare” con Dio mi aiuta a tenere accesa la fiamma del desiderio di eternità e salvezza. L’invito che ci viene rivolto è quello di recuperare, o di iniziare, il tempo (e il desiderio) di “stare” con il Signore. Non è affatto tempo perso, anzi è guadagnato! don Luca