Gesù nacque in una grotta di Betlemme, dice la Scrittura, “perché non c’era per essi posto nell’albergo” (Lc 2,7). Betlemme, fondata dai cananei verso l’anno 3000 a. C., è menzionata in alcune lettere spedite dal governatore egiziano della Palestina al suo Faraone, intorno all’anno 1350 a. C., dopo la conquista dei Filistei. Nella Sacra Scrittura si fa riferimento a Betlemme – che allora era chiamata Efrata: la fertile – nel libro della Genesi, quando si parla della morte e sepoltura di Rachele, la seconda moglie del patriarca Giacobbe: Rachele morì, e fu sepolta sulla via di Efrata; cioè di Betlemme (Gen 35, 19).
In seguito, quando si procedette alla ripartizione della terra tra le tribù del popolo eletto, Betlemme, assegnata alla tribù di Giuda, divenne la patria di Davide, il pastorello – ultimo figlio di una numerosa famiglia – scelto da Dio come secondo re di Israele. Da allora, essa restò unita alla dinastia davidica, e il profeta Michea annunciò che lì, in quella piccola località, sarebbe nato il Messia:
E tu, Betlemme di Èfrata, così piccola per essere fra i villaggi di Giuda, da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele; le sue origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti. Perciò Dio li metterà in potere altrui fino a quando partorirà colei che deve partorire; e il resto dei tuoi fratelli ritornerà ai figli d’Israele. Egli si leverà e pascerà con la forza del Signore, con la maestà del nome del Signore, suo Dio. Abiteranno sicuri, perché egli allora sarà grande fino agli estremi confini della terra (Mi 5, 1-3).
Ma è nel Vangelo di san Matteo che viene citata esplicitamente la profezia di Michea, quando Erode riunisce i sacerdoti e gli scribi per chiedere loro dove sarebbe dovuto nascere il Messia: in Betlemme di Giudea – essi gli risposero –, perché così è scritto per mezzo del profeta: E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo, Israele. (Mt 2, 5-6). Agli inizi del I secolo, Betlemme era un villaggio di circa mille abitanti, composto da un piccolo gruppo di case sparse sul pendio di una collina, protetto da un muro in rovina e in qualche parte franato, costruito circa mille anni prima. I suoi abitanti vivevano di agricoltura e di pastorizia; aveva fertili campi coltivati a grano e orzo nell’ampio pianoro ai piedi della collina: e forse da queste colture deriva il nome di Bet-Lejem, che in ebraico significa “Casa del pane”. Ai campi situati al limite del deserto, invece, venivano condotte al pascolo le greggi di pecore. Il piccolo villaggio di Betlemme viveva la sua monotona esistenza agricola e paesana fino a quando non accadde un avvenimento che l’avrebbe resa famosa nel mondo intero per sempre. Nazareth distava da Betlemme circa centocinquanta chilometri, e un simile viaggio era difficoltoso da affrontare per chiunque e specialmente per Maria, dato lo stato in cui si trovava.
Le abitazioni di Betlemme erano umili e, come in altri luoghi della Palestina, i paesani erano soliti utilizzare le grotte naturali o scavate nella roccia come magazzini e stalle. In una di queste grotte nacque Gesù. La divina Provvidenza aveva disposto che Gesù – il Verbo incarnato, il Re del mondo e il Signore della storia – nascesse circondato dalla più grande povertà. E non poté contare nemmeno sulle poche cose che un’umile famiglia avrebbe preparato per la nascita del figlio primogenito: ebbe solo delle fasce e una mangiatoia. “Non raggiungeremo mai la vera serenità se non imitiamo davvero Gesù Cristo, se non lo seguiamo nell’umiltà. Lasciatemelo dire di nuovo: avete visto dove si nasconde la grandezza di Dio? In una mangiatoia, con le fasce di un neonato, dentro una grotta. La forza redentrice della nostra vita sarà efficace pertanto solo se c’è umiltà, solo quando smetteremo di pensare a noi stessi e sentiremo la responsabilità di aiutare gli altri” (È Gesù che passa, 18). ”Allo stesso modo in cui si condiscono con il sale gli alimenti, perchè non siano insipidi, nella nostra vita dobbiamo metterci sempre l’umiltà. Figlie e figli miei – non è mia questa similitudine: è stata utilizzata da autori spirituali da più di quattro secoli – non fate come le galline che, dopo aver deposto appena un uovo solo, assordano chiocciando per tutta la casa. Dovete lavorare, dovete svolgere il lavoro intellettuale o manuale, e sempre apostolico, con grandi intenzioni e grandi desideri – che il Signore trasforma in realtà – di servire Dio e passare inavvertiti” (San Josemaría, Appunti presi da una meditazione, 25-XII-1972).